Qualche settimana fa
andai, come al solito, all’ufficio dell’UDI (Unione Donne in Italia) dove
faccio volontariato. Appena entrata mi accolsero con grande entusiasmo:
“Marina, vuoi partecipare al “Progetto Posillipo”?” - mi chiesero. Sono rimasta titubante per un
istante cercando di decifrare il significato nascosto di questo codice segreto
e, non appena scoprii che “Posillipo” non è una specie di polipo, ma è bensì un
quartiere di Napoli, freddi brividi avvolsero il mio corpo.
Il “Progetto Posillipo” è stato un invito solidale che la
Consigliera delle Pari Opportunità di Napoli offrì alla sua collega ferrarese,
per ospitare in vacanza gratuita cinquanta mamme e bambini le cui case sono
state fortemente colpite dal terremoto del 20 maggio in Emilia-Romagna. L’UDI di
Ferrara ha partecipato all’organizzazione e all’esecuzione del progetto ed io, di
conseguenza, sono stata coinvolta.
L’idea di tornare nel
“bollente sud”, anche per soli cinque giorni non mi allettava per niente: i
sette anni trascorsi a Palermo mi hanno fornito, nel bene e nel male, una dose
di Mediterraneo sufficiente per tutta la vita. Comunque non potevo dire di no
alle gentili signore dell’UDI, sapevo quanto ci tenessero alla mia presenza.
Così mi dissi: “Vado lì, mi faccio scivolare addosso i casini napoletani e
visito il museo di Arte Contemporanea “MADRE” (Museo di Arte Donna Regina)!
Al nostro arrivo a Napoli, mi resi conto che sarebbe stato
impossibile far coincidere il tempo libero a mia disposizione con gli orari di apertura
di “MADRE” , che lavorava cinque ore al giorno e per dipiù solo la mattina!
Quando chiesi spiegazioni al centro turistico, perché gli orari di visita sono
così particolari, mi risposero che già era una fortuna che era aperto, anche per
poche ore, visto che non ci sono soldi. Così con l’amaro in bocca mi arresi
all’idea di visitare quel che si dice essere un “gioiello della museografia
contemporanea” e decisi di scovare qualche altro briciolo di arte post-moderna
nel labirinto di stradine napoletane.
Con mia grande sorpresa e gioia, scoprii a Napoli un’altra arte
bella e verace che, proprio come me, non è riuscita ad entrare nel MUSEO: la
Street Art.
Negli anni ’80 del Novecento l’arte di strada in America
trionfava fuori e dentro i musei grazie ad artisti come Basquiat e Haring. Imprimere
la propria arte sulle strade delle metropoli, ricostruire con idee e immaginazione
gli scheletri dei palazzi fatiscenti “post consumisti” della Grande Mela: queste
erano faccende degne di varcare le soglie di un museo.
Oggi giorno, con qualche eccezione, la street art ha perso
il biglietto d’ingresso per il mondo dell’arte ufficiale, forse perché a volte è
o troppo estetica, priva di contenuti, o
troppo populista. In ogni caso per me,
l’arte delle strade è la testimonianza più tangibile e contemporanea della
situazione culturale e sociale che una città vive. Ma a Napoli l’arte di strada
si sta espandendo ed è di qualità. A differenza di altre metropoli però, l’arte
napoletana non ricostruisce le architetture preesistenti con stupefacenti trompe
l'oeil. Qui l’ammirazione che i
napoletani hanno per il loro patrimonio architettonico si evince anche da come l’opera
clandestina rispetta il muro che è la sua base, la sua tela; qui i graffiti
trovano una propria nicchia nelle crepe dei palazzi storici, sfruttando le
macchie dell’intonaco caduto, stimolando la nostra capacità del gestalt,
facendo nascere segni, abbozzi, figure realizzate con un tipico stile di
disegno manierista.
Si studia in sociologia dell’arte, come ogni artista assorbe
la situazione storica e culturale del luogo in ci vive; questa situazione
storico-culturale viene impressa nelle sue opere in maniera cosciente o non. Le
foto delle opere di questo artista ignoto qui riportato, sono una testimonianza
interessante di come l’arte barocca e neoclassica che riempie la città di
Napoli ha influenzato il tratto dell’artista. Immaginare figure e scene che
nascono dai buchi del l’intonaco caduto, invece, sono una scelta originale e
non invasiva per il palazzo storico sul quale sono dipinte.
Vedere i graffiti napoletani ha reso il mio viaggio
piacevole. Vedere tante nuove mini gallerie
situate nel centro storico, invece, mi ha riempito di speranze. Vedere carini locali
new age in prossimità di improvvisati campi di calcetto con bambini urlanti è
stato un’esperienza quasi esotica.
Vivere Napoli – l’ex capitale dell’ex Regno delle Due
Sicilie, mi ha fatto riflettere sui pregiudizi che avevo prima della mia
partenza. Quello che ho capito è che i napoletani non sono solo degli allegri pasticcioni.
Napoli è piena di brillanti idee e buoni propositi, che potrebbero veramente
resuscitare una città tanto piena di storia, quanto di degrado. A mio parere,
quello che impedisce un nuovo rinascimento napoletano, non è tanto la mancanza
di disciplina e ordine, bensì l’instancabile capacità dei napoletani di
giustificare tutte le cose appartenenti alla loro cultura, anche quelle più negative.
E si sa, se noi non prendiamo realmente coscienza delle cose sbagliate che ci
circondano, se prima no le riconosciamo con noi stessi e poi con gli altri, non
riusciremo mai né a cambiare, né a migliorarci.
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