mercoledì 10 ottobre 2012

ARTE $VALUTATA: Rothko firmato in Giallo


Tim Wright / Twitter

"@mattlosvert this guy calmly walked up, took out a marker pen and tagged it. Surreal.—
Tim Wright (@WrightTG) October 07, 2012"

Ovvero: "questo tizio si avvicinò con calma, tirò fuori un pennarello e lo "taggò". Surreale"

L'aurore di questo messaggio Twitter si riferisce (per chi non lo sa ancora) al gesto compiuto due giorni fa alla TATE Gallery di London, da un uomo di origine russa che ha scritto il seguente slogan su un murale di Mark Rothko:

Vladimir Umanets '12 a potential piece of Yellowism
La maggior parte degli articoli italiani che parlano di questo argomento dipingono il proprietario dell'autografo come un pazzo deturpatore di opere d'arte.
Gli articoli inglesi che ho letto invece buttano la notizia sul fatto che il "vandalo" è un artista senzatetto in cerca di attenzioni.

Panico, caos e dramma sono le emozioni che emergono dalla maggior parte delle notizie che descrivono questo gesto. Solo pochi articoli, come questo intuiscono il buon vecchio gioco speculativo che manovra l'arte contemporanea.

Dopo poche ricerche sul web sono riuscita a capire che:
1.Vladimir Umanets è un artista, di origine russa, proprio come Rothko. 
2. Vladimir Umanets è fondatore, insieme a Marcin Lodyga, del movimento Yellowism, dotato di apposito Manifesto e di un sito ben curato www.thisisyellowism.com
3.  Il Manifesto dello Yellowism dichiara che lo Yellowism non è arte, ma che non è nemmeno anti-arte; dichiara inoltre la capacità dei seguaci di questo "movimento" di trasformare preesistenti opere d'arte in "non arte", ovvero in pezzi di Yellowism (che è in sostanza quello che Umanets ha cercato di fare con il murale di Rothko). Questa informazione, come lo stesso Umanets dichiara, ricorda il gesto di Duchamp, che ai suoi tempi fece l'azione opposta a quella dello "giallista", ovvero trasformò un oggeto di non arte (l'orinatoio) in opera d'arte.
 3. Da quanto risulta dall'informazione riportata sul web (che è da confermare), Damien Hirst ha partecipato alla Terza Mostra dello Yellowism "No One Lives Forever ", insieme a Mirosław Bałka e Neville Brody - www.noonelivesforever.info
4.  Quest'anno un'altra opera di Rothko, Arancione, rosso, giallo, è stata venduta all'asta a New York per circa 87 milioni di dollari.
Il duo di Yellowism: Marcin Lodyga e Vladimir Umanets a Londra, gennaio 2012

Le conclusioni? 
Chi conosce un pò l'arte contemporanea, sa bene quali meccanismi speculativi definiscono il valore delle opere e degli artisti che le realizzano. Fare pubblicità ad un pezzo ed esporlo in un museo prestiggioso, dà indubbiamente valore aggiunto all'inestimabile prodotto del genio umano
Ma se a quella pubblicità si accorpa uno scandalo provocato da una presunta aggressione da parte di un giovane artista rampante ed affamato, allora il prezzo del pezzo, il suo valore simbolico ed affettivo potrebbero crescere a dismisura.

In conclusione direi che non c'è tanto da stupirsi per l'accaduto, basta ricordarsi un fatto successo a  Hirst, la quale opera fu pesantemente svalutata nel 2004. In seguito a questa drastica $valutazione, un incendio dalle dinamiche misteriose scoppiò nel deposito della Saatchi Gallery, dove le opere venivano conservate, distruggendo gran parte della produzione artistica del giovane artista britannico, insieme alla sua $valutazione.

D'altronde c'era da aspettarsi, prima o poi, un'atto dissacrante verso l'opera di qualche artista famoso. La matrice speculativa e provocatoria che segna la storia dell'arte del Novecento, confonde le idee dei giovani, che tendono ad acquisire comportamenti altrettanto speculativi e provocatori.

Non penso che l'atto "vandalico" di Umanets sia semplicemente l'urlo disperato di un artista povero in cerca di attenzione. Le parole del testimone che ha scattato la "foto di twitter" raccontano come il giovane si è avvicinato piano ed indisturbato verso il murale di uno dei più famosi ed importanti musei del mondo. Oltrettutto da quello che ho potuto vedere nelle immagini, il pennarello usato  sembra essere troppo liquido per provocare gravi danni alla superficie al murale.

Forse tra vent'anni parleremo del giovane Umanets, come oggi parliamo di Hirst.
O forse ci dimenticheremo di tutta questa faccenda tra qualche mese.
Dipende dall'umore di chi dispone dell'arte.


lunedì 24 settembre 2012

Napoli graffiti – l’arte nelle crepe




Qualche settimana  fa andai, come al solito, all’ufficio dell’UDI (Unione Donne in Italia) dove faccio volontariato. Appena entrata mi accolsero con grande entusiasmo: “Marina, vuoi partecipare al “Progetto Posillipo”?”  - mi chiesero. Sono rimasta titubante per un istante cercando di decifrare il significato nascosto di questo codice segreto e, non appena scoprii che “Posillipo” non è una specie di polipo, ma è bensì un quartiere di Napoli, freddi brividi avvolsero il mio corpo.
Il “Progetto Posillipo” è stato un invito solidale che la Consigliera delle Pari Opportunità di Napoli offrì alla sua collega ferrarese, per ospitare in vacanza gratuita cinquanta mamme e bambini le cui case sono state fortemente colpite dal terremoto del 20 maggio in Emilia-Romagna. L’UDI di Ferrara ha partecipato all’organizzazione e all’esecuzione del progetto ed io, di conseguenza, sono stata coinvolta.

 L’idea di tornare nel “bollente sud”, anche per soli cinque giorni non mi allettava per niente: i sette anni trascorsi a Palermo mi hanno fornito, nel bene e nel male, una dose di Mediterraneo sufficiente per tutta la vita. Comunque non potevo dire di no alle gentili signore dell’UDI, sapevo quanto ci tenessero alla mia presenza. Così mi dissi: “Vado lì, mi faccio scivolare addosso i casini napoletani e visito il museo di Arte Contemporanea “MADRE” (Museo di Arte Donna Regina)!
Al nostro arrivo a Napoli, mi resi conto che sarebbe stato impossibile far coincidere il tempo libero a mia disposizione con gli orari di apertura di “MADRE” , che lavorava cinque ore al giorno e per dipiù solo la mattina! Quando chiesi spiegazioni al centro turistico, perché gli orari di visita sono così particolari, mi risposero che già era una fortuna che era aperto, anche per poche ore, visto che non ci sono soldi. Così con l’amaro in bocca mi arresi all’idea di visitare quel che si dice essere un “gioiello della museografia contemporanea” e decisi di scovare qualche altro briciolo di arte post-moderna nel labirinto di stradine napoletane. 

Con mia grande sorpresa e gioia, scoprii a Napoli un’altra arte bella e verace che, proprio come me, non è riuscita ad entrare nel MUSEO: la Street Art.
Negli anni ’80 del Novecento l’arte di strada in America trionfava fuori e dentro i musei grazie ad artisti come Basquiat e Haring. Imprimere la propria arte sulle strade delle metropoli, ricostruire con idee e immaginazione gli scheletri dei palazzi fatiscenti “post consumisti” della Grande Mela: queste erano faccende degne di varcare le soglie di un museo. 

Oggi giorno, con qualche eccezione, la street art ha perso il biglietto d’ingresso per il mondo dell’arte ufficiale, forse perché a volte è o troppo estetica,  priva di contenuti, o  troppo populista. In ogni caso per me, l’arte delle strade è la testimonianza più tangibile e contemporanea della situazione culturale e sociale che una città vive. Ma a Napoli l’arte di strada si sta espandendo ed è di qualità. A differenza di altre metropoli però, l’arte napoletana non ricostruisce le architetture preesistenti con stupefacenti trompe l'oeil.  Qui l’ammirazione che i napoletani hanno per il loro patrimonio architettonico si evince anche da come l’opera clandestina rispetta il muro che è la sua base, la sua tela; qui i graffiti trovano una propria nicchia nelle crepe dei palazzi storici, sfruttando le macchie dell’intonaco caduto, stimolando la nostra capacità del gestalt, facendo nascere segni, abbozzi, figure realizzate con un tipico stile di disegno manierista. 

Si studia in sociologia dell’arte, come ogni artista assorbe la situazione storica e culturale del luogo in ci vive; questa situazione storico-culturale viene impressa nelle sue opere in maniera cosciente o non. Le foto delle opere di questo artista ignoto qui riportato, sono una testimonianza interessante di come l’arte barocca e neoclassica che riempie la città di Napoli ha influenzato il tratto dell’artista. Immaginare figure e scene che nascono dai buchi del l’intonaco caduto, invece, sono una scelta originale e non invasiva per il palazzo storico sul quale sono dipinte.
Vedere i graffiti napoletani ha reso il mio viaggio piacevole.  Vedere tante nuove mini gallerie situate nel centro storico, invece, mi ha riempito di speranze. Vedere carini locali new age in prossimità di improvvisati campi di calcetto con bambini urlanti è stato un’esperienza quasi esotica. 

Vivere Napoli – l’ex capitale dell’ex Regno delle Due Sicilie, mi ha fatto riflettere sui pregiudizi che avevo prima della mia partenza. Quello che ho capito è che i napoletani non sono solo degli allegri pasticcioni. Napoli è piena di brillanti idee e buoni propositi, che potrebbero veramente resuscitare una città tanto piena di storia, quanto di degrado. A mio parere, quello che impedisce un nuovo rinascimento napoletano, non è tanto la mancanza di disciplina e ordine, bensì l’instancabile capacità dei napoletani di giustificare tutte le cose appartenenti alla loro cultura, anche quelle più negative. E si sa, se noi non prendiamo realmente coscienza delle cose sbagliate che ci circondano, se prima no le riconosciamo con noi stessi e poi con gli altri, non riusciremo mai né a cambiare, né a migliorarci.

giovedì 16 agosto 2012

Touchy. O come l'uomo diventò una macchina fotografica

Eric Siu è un media artist di Hong Kong, attualmente residente presso l'Ishikawa Oku Laboratory dell'Università di Tokyo. I suoi interessi artistici spaziano tra video, animazione, installazioni, arte cinetica ed interattiva. 


Il suo attuale progetto artistico "Touchy" trasforma letteralmente l'uomo in una macchina fotografica. Questo è possibile grazie ad un sofisticato apparecchio a forma di elmo che Eric mette sulla testa. L'aggeggio è dotato di lenti a forma di occhiali che permettono a chi lo indossa di scattare foto di ciò che vede in ogni momento.  La vera particolarità di questo elmetto però è il fatto che le lenti della macchina fotografica si aprono soltanto quando una persona tocca chi lo indossa, rendendolo "cieco" senza il contatto umano. 

Questa operazione è in realtà un progetto di ricerca sulla fenomenologia sociale dell'interazione che fa riflettere su come il mondo odierno, vissuto in maniera virtuale, impedisce alle persone di condividere gli spazi reali con altri esseri umani. Tecnologie come i social networks o i cellulari rendono i legami tra le persone effimeri e ci disabituano a percepire la comunicazione fisica.

Dopo aver letto di questo artista e di come lui affronta il problema della solitudine, così largamente presente nella società metropolitana, sono rimasta spiazzata per un attimo, temendo la disumanizzazione delle persone. Tutti sanno usare un cellulare, ma non altrettanti sanno approcciarsi agli altri; le persone che hanno un analfabetismo funzionale aumentano di anno in anno proprio nei paesi più ricchi.
Una vera consolazione però c'è. Se è stata la tecnologia ad estrapolaci dalla realtà, sarà anche la tecnologia a reinsegnarci l'approccio diretto con il prossimo. Eric Siu l'ha fatto e, mi auguro non sia e non sarà l'unico. Ogni tecnologia umana può essere dannosa o benevole. Ciò che fa la differenza è come la si usa.













Ecco il link del sito di Eric Siu:
http://www.ericsiuart.com/ 

mercoledì 15 agosto 2012

Colorful Umbrellas Installation. O l'informazione copia/incolla


 

Internet è comodo per trovare informazioni. Peccato che solitamente queste informazioni sono pressapochiste. L'installaione dell'immagine qui mostrata è una delle più famose del momento sul web. Puoi trovarla su inumerevoli siti e blog. Con la stessa didascalia. Tutti quelli che hanno condiviso hanno fatto copia/incolla dalla stessa fonte, affinchè si sono perse le tracce dell'inventore originale del testo. 

 Ah si, la foto è stata postata in tanti siti, ma nome dell'artista che ha creato l'installazione non è presente da nessuna parte, nemmeno sulla pagina del festival che ha finanziato l'installazione, ovvero l'"AgitÀgueda" della città di Àgueda, Portogallo. Il lettore è anche lasciato all'oscuro sulla durata  e sulla tipologia di questo evento. Si capisce che è un festival estivo e che si svolge in agosto, ma da nessuna parte sono presenti date precise. L'unica informazione fornita dall'ignota "fonte madre", scopiazzata dagli altri, è il nome della persona che ha scattato la foto: Patricia Almeida.

Dopo questa non tanto breve introduzione, possiamo concentrarci sulla lettura dell'immagine.Qui si vede una stradina pulita e ordinata, forse il centro di qualche città meridionale. Questo luogo ha il cielo coperto da centinaia di ombrelloni colorati. Che gioia! Che allegria! Come dice la fonte copia/incolla "Sembra di essere dentro una favola!". A me, invece, sembra di stare nella tenda di lenzuola che facevamo spesso da bambini...protetti dal resto del mondo giocavamo nascosti in un luogo sicuro. Ed è questo il punto inquietante dell'installazione: ti trascina in dinamiche protettive primordiali. Non valorizza lo spazio esterno, ma chiude sotto una cappa colorata le persone e i loro sguardi. Quest'opera claustrofobica, mascheata da festa gioiosa, in me non ispira altro che panico da efetto serra...

Ecco qui una delle fonti dove "potete trovare informazione": http://www.oddly-even.com/2012/08/02/colorful-umbrellas-in-mid-air-in-agueda-portugal/







VIOLENCE! O la Svolta

Poster della XV Biennale Donna

Sono neo laureata in Storia dell’Arte e avendo molto tempo libero e tante idiozie che passano per la testa, ho deciso di condividere con qualcuno la mia prima esperienza lavorativa, durante l’organizzazione e lo svolgimento della XV Biennale Donna: “VIOLENCE. L’arte interpreta la violenza”. Ovviamente essendo logorroica descriverò anche altre mie esperienze - estetiche e di vita.
Spero vi divertiate (*´∀`*)
E adesso alcune domande ovvie del tipo:
Cos’è la Biennale Donna?
-E’ logico! XD E’ una biennale di arte (contemporanea) dedicata esclusivamente alle artiste donne! L’iniziativa nasce nel 1984 a Ferrara, dove le donne dell’UDI (Unione Donne in Italia) decidono di dedicare la giornata dell’Otto Marzo ad un momento espositivo artistico femminile. Questa loro idea è stata subito appoggiata dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara e la prima edizione ebbe un tale successo che Il direttore delle Gallerie Franco Farina, come grande esperto dell’arte che è, suggerisce all’UDI di continuare a fare mostre di artiste donne, dando così l’inizio ad una biennale.
Tutte le edizioni nascono da progetti che l’UDI attraverso un Comitato Scientifico realizza e presenta alle autorità pubbliche della città di Ferrara in attesa di approvazione.
E io dove sto in questa storia?
-Io sto in questa storia a partire dal 2011 (un anno fa), quando per la prima volta misi piede a Ferrara per raccogliere materiali ed informazioni sulla biennale. Dovevo scrivere la tesi di laurea e la mia Prof.ssa mi suggerì di farlo sulla Biennale Donna. Era un argomento “succulento”, interessante, ma soprattutto “mai trattato prima”! Con grande stupore appresi, infatti, che sulla Biennale Donna prima di me praticamente nessun tesista aveva fatto un lavoro!
E così presi l’aereo da Palermo, dove ho vissuto per cinque anni durante i studi, e arrivai a Ferrara, dove alloggiai all’Ostello Estense gestito da miei amici, dove incontrai le bravissime signore dell’UDI e dove mi innamorai.